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al testo di Rita Stanzione
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Il corpo docile al mattino vorrebbe, non sa avversare la sua docilità ombra intagliata dai coltelli di una coperta rude, lampada vuota d’anima. La bella nuvola, spezzata. S’infila stretto nelle calze, soffoca il nudo dentro, adagio temendo il laccio della luce. Infila e stringe, voci d’estranei a sé da labirinti a bracci violamaro.
Immagino le vene concave in una cesta a respirare ossigeno nativo: scende l’uccello dall’ala azzurra a separare il greve -quasi ne muoio di sollievo di là dai frangiventi, incontro di fuscelli e solchi d’aria.
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